Titolo originale: Vampire Kisses
Autore: Ellen Schreiber
Anno: 2003
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Editore: HarperTeen
Genere: Rosa con gnokki
Pagine: 253
o letto le prime pagine di Vampire Kisses pensando: “chissà che incredibile stupidaggine, magari se è abbastanza demente posso cavarne un articolo per il blog. E in più potrei dileggiare l’autrice. E offendere le fan.” Del resto parto sempre con questo atteggiamento, essendo stata infettata da piccola con il morbo della kattiveria.
Invece Vampire Kisses pur non essendo un capolavoro, e in verità neanche un bel romanzo, si è però rilevata una lettura interessante.
La storia è la seguente: Raven ha da poco compiuto sedici anni e non è felice. Abita in una piccola cittadina, da lei ribattezzata “Dullsville”, e oltre che macerarsi nella noia deve sopportare il fatto che nessuno le voglia bene. Perché Raven è una goth girl e nessuno la capisce. Nessuno capisce perché lei debba vestirsi sempre di nero, essere ossessionata dai film dell’orrore e dai romanzi di Anne Rice, adorare le tenebre e le vecchie case diroccate. Nessuno poi vuole darle retta quando spiega che da grande lei sogna di diventare un vampiro.
Un bel giorno una nuova famiglia si trasferisce nelle magione di Benson Hill, una villa abbandonata da anni. I nuovi arrivati sono una ricca famiglia europea; hanno abitudini particolari e non si fanno mai vedere alla luce del Sole. Raven scopre che fa parte della famiglia anche un ragazzo diciassettenne, tale Alexander. Di Alexander basti dire che “His eyes were dark, deep, lovely, lonely, adoringly intelligent, dreamy. A gateway into his dark soul.” Come ovvio Raven s’innamora subito di Alexander, e lui di lei, ma c’è un grosso problema: lui è uno gnokko o in terminologia pre-Meyer un vampiro.
Lo gnokko Alexander. Non so se sia più gnokko dello gnokko Edward, ma almeno non sta ripetendo per la quindicesima volta il Liceo: è già qualcosa
Come si vede la trama è in pratica quella di Twilight: ragazzina sola nella piccola cittadina ostile e vampiro adolescente. Peccato che Ellen Schreiber abbia scritto Vampire Kisses due anni prima di Twilight. Perciò ai “meriti” della signora Meyer si può aggiungere anche quello di aver scopiazzato senza ritegno (anche se poi è chiaro che sia la Schreiber sia la Meyer hanno attinto a una serie di idee che già circolavano da tempo, da Buffy a The Vampire Diaries).
A essere sincera, mentre leggevo Vampire Kisses ho varie volte sghignazzato perché credevo che la Schreiber stesse prendendo varie scene da Twilight e le stesse riscrivendo in chiave ironica, invece era il contrario! È la Meyer che ha rubato le scene e le ha riproposte senza neppure un briciolo dell’umorismo di partenza.
Lo stesso vale per lo stile. La Schreiber è molto brava: se si escludono un paio di passaggi a vuoto il testo scorre in maniera impeccabile. È uno stile solo in apparenza elementare, in realtà scrivere così è difficile: non sono rimasta sorpresa nello scoprire che questo Vampire Kisses è il quarto romanzo che l’autrice pubblica.
La mia affermazione può suonare strana se si è appena letta la descrizione degli occhi di Alexander, infatti l’uso indiscriminato di aggettivi e avverbi è una delle stigmate dello scrittore dilettante. Ma qui è l’ironia: in una scrittura sempre molto trasparente e controllata la Schreiber si sbrodola solo quando descrive il suo gnokko, e questo ne comunica un’immagine così sopra le righe da suscitare un sorriso. Dove la Meyer descrivendo Edward come bello quanto un Dio greco vuol essere seria, la Schreiber sta giocando con il cliché del vampiro bello e tenebroso.
Uguale per la protagonista, Raven. La Schreiber ne fa una caricatura della goth girl, insistendo apposta ad associarle l’aggettivo black appena possibile:
CITAZIONE
Somehow I made it through the day. Cutting and gluing black paper on black paper, finger painting Barbie’s lips black, and telling the assistant teacher ghost stories
[...]
I dragged myself out of bed and put on a black, cotton sleeveless dress and black hiking boots, and outlined my full lips with black lipstick.
[...]
They all looked at me—at my black lipstick, black nail polish, blackened hair, black spandex dress, and clunky black plastic bracelets.
[...]
I was wearing matte black lipstick instead of gloss, black turtleneck, black jeans, and a tiny black backpack with a flashlight and disposable camera.
[...]
I was wearing my Saturday-night best: a black spandex sleeveless mini-dress with a black lacy undertop that peeked through, black tights, unscuffed combat boots, black lipstick, and silver-and-onyx earrings.
…e così via. La faccenda funziona perché tutta questa oscurità è in contrasto con il carattere di Raven. Raven è spigliata, a tratti coraggiosa, intelligente, qualche volta un po’ carogna ma anche generosa, spiritosa, spesso persino allegra (niente a che spartire con quella larva di Bella). È lo stesso meccanismo per cui Shrek che è un orco ma si comporta da brava persona suscita simpatia. Raven ha l’aspetto di una goth girl ma si potrebbe dire che ha un carattere solare.
Raven non è certo il mio personaggio femminile preferito, ma mi ha fatto piacere che la Schreiber, pur mirando a quel pubblico che io chiamo di ragazzine cerebrolese, non abbia rinunciato a proporre una protagonista con un quoziente d’intelligenza superiore alla singola cifra.
La Schreiber è anche più verosimile della Meyer: i suoi gnokki si fanno vedere poco (e mai di giorno), viaggiano spesso e Alexander non frequenta il locale Liceo. È home-schooled, ovvero sono gli insegnanti a venire a casa sua. In America è una pratica più diffusa che non in Europa, e una soluzione molto più credibile che non frequentare una scuola per cent’anni di fila. Inoltre la Schreiber non dice quanti anni abbia lo gnokko, potrebbe sul serio averne diciassette ed essere appena entrato nella gnokkaggine. Tra l’altro, in pratica fino all’ultima pagina, non si può neanche affermare con sicurezza che si è trattato di gnokki: se Alexander e genitori fossero solo dei ricconi eccentrici la storia funzionerebbe lo stesso senza il minimo intoppo.
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